Gv 9,3

« Rispose Gesù: "né lui ha peccato né i suoi genitori, ma è perché in lui siano manifestate le opere di Dio.»

Come già aveva fatto capire in precedenza nell'episodio della guarigione dell'infermo alla piscina di Betzatà, quando alla fine lo aveva congedato dicendogli “Non peccare più, perché non ti avvenga di peggio” (Gv 5,14)... anche in questo caso Gesù non contraddice l'antica concezione giudaica del rapporto tra la colpa commessa e la successiva sofferenza alla quale si va incontro.
Però, nella sua risposta Lui precisa un fondamentale aspetto, dicendo che in questo meccanismo di causa-effetto ci sono anche delle “variabili” umanamente insondabili.
Infatti... riferendosi al caso specifico del cieco-nato che i suoi discepoli Gli hanno posto, Gesù dice che quell'uomo si trova adesso in quella condizione non perché abbia peccato lui o i suoi genitori, ma perché in lui siano manifestate le opere di Dio.
Queste opere di Dio sono da intendere come i “segni” mediante i quali Gesù rivela la Gloria divina e, nel caso di questo cieco-nato, sta infatti per manifestarsi la volontà salvifica di Dio Il quale, agendo in lui, gli fa dono della guarigione fisica.
Simbolicamente, questa guarigione mostra ciò che la Luce divina può operare per illuminare ogni uomo (Cfr.Gv 1,9), risanandolo dalla "cecità" interiore. 

Segue: Gv 9,4