Gv 1,51

« Poi gli disse: "In verità, in verità io vi dico: vedrete il cielo aperto e gli angeli di Dio salire e scendere sopra il Figlio dell'uomo".»

Introducendola con la formula solenne "in verità, in verità io vi dico", Gesù pronuncia qui una frase di fondamentale importanza, in relazione al significato di tutta la Sua azione terrena.
Per comprenderla, è opportuno partire dall'osservare come Lui parli di Se stesso in terza persona... attribuendosi un titolo di origine apocalittica, "Figlio dell'uomo", usato dal profeta Daniele in una prospettiva escatologica, proiettata verso la fine dei tempi: “ecco venire con le nubi del cielo uno simile a un figlio d'uomo” (Dn 7,13).
Con una uguale prospettiva escatologica ritroviamo questa espressione nel Vangelo di Marco quando, davanti al Sinedrio, Gesù dice le parole tradizionalmente intese come l'annuncio della Sua paruṡìa*, cioè della Sua venuta alla fine dei tempi : “E vedrete il Figlio dell'uomo seduto alla destra della Potenza e venire con le nubi del cielo” (Mc 14,62)... e anche in Matteo (24,30) e in Luca (21,27) troviamo dei passaggi nei quali la venuta del “Figlio dell'uomo” “sulle nubi” viene collocata nel tempo susseguente alla Resurrezione di Gesù.
In Gv, invece, Gesù si attribuisce il titolo "Figlio dell'uomo" già in prospettiva della Sua esistenza terrena, affermando dunque una realtà che gli studiosi riconducono al concetto teologico tipicamente giovanneo noto come “escatologia attuale”*.
Infatti, dicendo ai Suoi discepoli "vedrete il cielo aperto", Gesù fa riferimento a quanto sta per accadere da quel momento in avanti:
I “segni”con i quali Lui sta per manifestare la sua gloria, dimostreranno che, in Lui, la terra è “in collegamento” con il cielo... ed è in questo senso che i discepoli vedranno gli angeli di Dio salire e scendere sopra il Figlio dell'uomo.
Per trovare le “radici” di questa espressione, bisogna risalire al celebre episodio del sogno di Giacobbe raccontato nella Genesi, nel quale il Patriarca delle Dodici tribù dell'antico Israele ha una visione della scala che “poggiava sulla terra, mentre la sua cima raggiungeva il cielo; ed ecco, gli angeli di Dio salivano e scendevano su di essa” (Gen 28,12)    
Alludendo a questo episodio, Gesù dice ai discepoli "vedrete", ma non nel senso che anche loro avranno la visione degli angeli di Dio che salgono e scendono.
Gesù si riferisce invece al fatto che i dodici apostoli, cioè  i “padri” del nuovo popolo di Dio, durante il Suo ministero pubblico potranno avere la “visione” del cielo aperto... cioè della costante comunicazione tra Dio e l'uomo che si instaurerà nella persona del loro Maestro, il Figlio dell'uomo.
Loro vedranno dunque Gesù quale nuova “scala” che unisce il cielo e la terra, laddove il movimento degli angeli può essere inteso come la libertà e l'accesso diretto a Dio che si rende disponibile per l'umanità, grazie a Gesù.
Così, essi saranno visti prima salire... per portare i desideri e le preghiere dell'umanità a Dio... e poi scendere, per ricominciare a svolgere questo loro divino servizio.
Poi, dal momento che la visione originale avuta da Giacobbe era stata accordata a Bethel, “casa di Dio” e “porta del cielo” (Gn.28,17), già traspare in questo passo anche l'identificazione di Gesù con il “nuovo Tempio”... di cui l'evangelista ci parlerà più ampiamente in seguito (cfr. Gv.2,21).
Fin d'ora si può però comprendere che il Figlio dell'uomo è il nuovo “Bethel”, vale a dire il “luogo” in cui Dio si rivela pienamente e manifesta la Sua gloria a quanti saranno capaci di “vedere” con lo sguardo della fede.
Ecco dunque che Gesù, nel dare compimento alle Scritture, lo fa in una maniera che “esonda” rispetto alla capacità di lettura dei suoi contemporanei, per cui i discepoli sono chiamati ad accogliere ciò che va al di là della loro attesa...
Inoltre, sono chiamati a farlo non in un futuro aldilà, bensì nell'immediatezza del loro presente, perché è in questa dimensione che il Figlio dell'uomo mette in collegamento la terra con il cielo.

Segue: Le Nozze di Cana (Gv 2,1-12)

Vedi nel Glossario le voci:
"Escatologia attuale"
"Gloria"
"Parusia"
"Segno"


Gesù... e la Sapienza di Dio

Giunti alla fine di questo primo capitolo e, in particolare, avendo appena letto la parte in cui i primi discepoli cominciano a seguire Gesù (Gv 1,35-51), è significativo osservare come l'evangelista scelga determinati vocaboli ed espressioni per lasciare trasparire, tra le righe, la presentazione di Gesù come personificazione della Sapienza divina.
Gli scrittori dell'Antico Testamento insegnavano infatti che la Sapienza si lascia trovare da quanti la “cercano” (Sap.6,12) … e Gesù domanda ai due discepoli “Cosa cercate?” (Gv.1,38).
Poi, gli antichi autori veterotestamentari raccomandavano anche di non accontentarsi di studiare la Sapienza, ma di “vivere con la Sapienza” (Sap.7,28)... ed infatti i discepoli chiedono a Gesù “Rabbì, dove dimori?” (Gv.1,38), e quando Gesù risponde “venite e vedrete” (Gv.1,39), loro “rimasero con lui” (Gv.1,39).
Poi... dal momento che, come abbiamo visto, la Sapienza si lascia “trovare” da quanti la cercano (Sap.6,12), Andrea dichiara con gioia “Abbiamo trovato il Messia” (Gv.1,41).
Infine, la Sapienza si lascia “vedere” da quanti la amano (Sap.6,12)... e Gesù promette ai suoi discepoli: “vedrete” (Gv.1,51).

Pista di approfondimento:
Conoscenza incarnata (nel mio blog Diario di un monaco)