Gv 17,26

« E io ho fatto conoscere loro il tuo nome e lo farò conoscere, perché l'amore con il quale mi hai amato sia in essi e io in loro".»

Gesù ha detto poc'anzi che la sua gloria ha un “fondamento” eterno, costituito dall'amore con il quale il Padre Lo ha amato fin da “prima della creazione del mondo” (Gv 17,24).
Facendo riferimento a questo amore di cui è oggetto, Gesù si rivolge adesso al Padre e Gli dice che ha fatto e continuerà a far conoscere il suo nome all'umanità, perché questo “amore... sia in essi (i discepoli) e io (Gesù) in loro”.
E' dunque questo il fine della manifestazione del nome, cioè dell'essenza del Padre, operata dal Figlio: che i credenti diventino uno con Lui (Cfr. Gv 17,21), facendosi anch'essi “figli” (Cfr. Gv 1,12) mediante l'ingresso nella comunione d'amore che sin dall'eternità unisce il Verbo-Cristo a Dio (Cfr. Gv 1,1), che L'ha inviato sulla terra.
La “vita eterna”... che il Figlio dona a quanti, credendoGli, conoscono il Padre (Cfr. Gv 17,2-3)... è costituita proprio dal loro ingresso in questa divina comunione tra Padre e Figlio.

Segue: Gesù si fa arrestare (Gv 18,1-11)

Vedi nel Glossario le voci:  
“Gloria”
“Mondo”
“Vita eterna”

P.S. - Durante la sua missione terrena, Gesù già ha fatto conoscere ai credenti il nome del Padre (Cfr. Gv 17,6), cioè ha comunicato a loro la sua divina essenza … ed il fatto che adesso dica “lo farò conoscere” va compreso nel senso che Lui continuerà la sua opera attraverso il Paràclito (Cfr. Gv 14,16).


La preghiera di Gesù (17,1-26): uno “zoom” sul concetto giovanneo di “Vita eterna”.  

Giunti a questo punto, ci è possibile gettare uno sguardo d'insieme sulla preghiera che occupa interamente questo 17° capitolo, nella quale Gesù prega per Sé stesso, per i discepoli che si trovano in sua presenza e anche per le successive generazioni di discepoli.
A differenza delle preghiere espresse dagli esseri umani, Lui però non manifesta un suo desiderio, o una sua speranza che qualcosa possa accadere...
Avendo adempiuto alla sua missione terrena ed essendo in procinto di far ritorno al Padre, il Figlio non fa altro che rimettere a Lui tutto ciò che ancora deve compiersi, ma che già rientra nella sua originaria volontà... per cui si tratta di una preghiera che non è tanto di “richiesta”, quanto invece di “affidamento” al Padre di ciò che deve ancora essere compiuto, secondo la sua volontà.
Rispetto al sinottico “Padre Nostro” (Mt 6,9s; Lc 11,1s), che è rivolto alla venuta del Regno di Dio alla fine dei tempi... la preghiera qui celebrata da Gesù si rivolge invece al tempo dell'esistenza terrena dei credenti, per i quali Lui chiede al Padre che già nel presente venga accordata a loro la “vita eterna” o... detto in altri termini... che i suoi discepoli siano uniti a Lui, e attraverso di Lui al Padre, già mentre si trovano in questo mondo.
All'inizio di questa preghiera, la “vita eterna” viene così definita: “Questa è la vita eterna: che conoscano te, l'unico vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo” (Gv 17,3).
Tale significato di “vita eterna” era già emerso in precedenza, per esempio quando... davanti al sepolcro di Lazzaro... Gesù si era rivolto a sua sorella Marta dicendo “Chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morrà in eterno” (Gv 11,25s).
Infatti, colui che crede veramente in Cristo non si limita più semplicemente ad esistere ma, attraverso la comunione con Lui, entra nella “vita vera”, di per sé inattaccabile dalla morte... ed è a questo ingresso nella vita divina che Gesù si era riferito quando, ai discepoli presenti all'ultima cena, aveva detto anche: “Io vivo e voi vivrete” (Gv 14,19).
Adesso... celebrando la sua preghiera sacerdotale, Gesù evidenzia qual'è la “chiave” che permette al credente di entrare in questa indistruttibile “vita eterna”: si tratta della divina “Conoscenza”, cioè di quel “conoscere” Dio che va inteso in senso biblico... ovvero come il mezzo per creare comunione con il Soggetto divino conosciuto... con Il quale si realizza l' “Uno” (Cfr. Gv 17,11; Gv 17,21.22).
Ecco allora che la “vita eterna” è il frutto di una relazione con l'Inviato di Dio: poiché il Cristo è la “Vita” (Cfr. Gv 1,4; Gv 14,6), è relazionandosi con Lui che il credente può diventare a sua volta un “vivente”... ed è proprio questo il significato dell'espressione greca hoi zōntes (I viventi) che identificava i primi cristiani.
Detto in altri termini: unendosi a Colui che è la Vita il credente vince la morte fisica... la quale può porre fine alla sua esistenza nella forma biologica della “vita” (in greco “bios”), ma senza minimamente intaccare quella “Vita” (in greco “zōē”) che trascende la sfera biologica, in quanto appartenente alla dimensione spirituale/divina.
Affinché ciò avvenga, è altresì evidente che la “conoscenza” dell' “unico vero Dio e di Colui che ha mandato” (Cfr. Gv 17,3), di cui Gesù parla, non è una conoscenza meramente intellettuale.
Ben diversamente... si tratta di un “conoscere” che coinvolge l'esistenza vissuta del credente, il quale è chiamato a tradurre questa Conoscenza in una concreta pratica di vita, orientata all'amore.
E' in questo modo che l'unione reciproca tra i discepoli di Cristo, conseguente alla pratica del “comandamento dell'amore” (Gv 13,34) da Lui insegnato, diventa il messaggio attraverso cui essi testimoniano al mondo che il loro Maestro è veramente l'Inviato di Dio (Cfr. Gv 17,21.23).
Tutto ciò è possibile proprio grazie al fatto che Gesù, dopo aver perfettamente adempiuto alla sua missione terrena, fa ritorno al Padre, il quale così “glorifica” il Figlio:
Questa “glorificazione” dona, a quanti credono in Lui, la possibilità di partecipare alla sua vita di comunione con lo stesso Padre, ed è in questo che consiste la “vita eterna”... che per i credenti non è dunque “dopo”, bensì già “dentro” la loro umana esistenza.

Segue: Gesù si fa arrestare (Gv 18,1-11)

Vedi nel Glossario le voci:
"Glorificazione"
"Vita"