Cristologia "dall'alto"

Anche se in seno alla cristianità sono in molti a presentare i 4 Vangeli “canonici” come un "monolite" teologico inscindibile, non occorre essere necessariamente degli esperti per rendersi conto che tra di essi esistono delle differenze sostanziali proprio in relazione al più importante degli aspetti teologici, vale a dire la “cristologia”, che è la “parte della teologia che spiega sistematicamente chi e cosa Gesù Cristo è in sé” (Dizionario del Cristianesimo, suppl. a Jesus – marzo 2000, Periodici san Paolo, Milano, p. 49).
Se infatti si confrontano i 3 Vangeli sinottici di Marco Matteo e Luca (databili grossomodo tra il 70 e il 90 d.C.), con il successivo Vangelo di Giovanni (databile all’incirca tra la fine del I° e l'inizio del II° secolo dell’era cristiana), ci si può rendere conto che nei primi è riscontrabile una “cristologia dal basso”, che si sviluppa a partire dall’esame della vita terrena di Gesù… mentre il IV° Vangelo è caratterizzato da una “cristologia dall’alto”, che presenta Gesù come l’incarnazione dell’eterno e preesistente Verbo di Dio “che si fece carne” (Gv 1,14).

Il Logos giovanneo... "ponte" tra la tradizione biblica e la tradizione filosofica

Per potersi avventurare nei territori teologici del Vangelo di Giovanni, nel proprio “equipaggiamento” di partenza non può mancare una cognizione, perlomeno generale, del termine greco “logos” (tradotto in italiano con “verbo”) che, com’è noto, il quarto evangelista pone a fondamento del Prologo (Gv 1,1-18) fino a definire la nascita di Gesù con la celebre espressione “e il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi” (Gv 1,14).

Il Prologo (Gv.1,1-18)

Il nome Giovanni deriva dall'ebraico Yehohanàn,  che significa “Dio ha avuto misericordia”, e il suo Vangelo inizia con il celebre "Prologo" (Gv 1,1-18)... inno all'amore misericordioso di Dio per l'umanità.
Fin da subito, le parole di Giovanni (Gv) fanno balzare agli occhi un “orizzonte” teologico diverso da quello mostrato dai Sinottici:

Gv 1,1

« In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio.»

Sin dalle sue prime parole, Gv introduce un termine presente nel linguaggio filosofico... il Verbo (in greco "Logos"*)... che non compare negli altri Vangeli, e che l'evangelista utilizza per parlare di un "principio" diverso rispetto a quello fino ad allora concepito nella tradizione ebraica.
Infatti... pur se l'espressione In principio è un riferimento al primo libro biblico, la Genesi, che comincia con la celebre frase “In principio Dio creò il cielo e la terra” (Gen 1,1)... Gv afferma che in principio c'era già il Verbo, prima ancora della creazione del cielo e della terra.

Gv 1,2-3

« Egli era, in principio, presso Dio:
tutto è stato fatto per mezzo di lui e senza di lui nulla è stato fatto di tutto ciò che esiste*
*(Vedi la nota esegetica Gv 1,3-4) 

Nella Bibbia è un'originalità di Gv quella di definire la Parola divina con il termine filosofico "Logos"* (Verbo)... mentre non costituisce una novità il fatto che l'evangelista attribuisca al Logos-Verbo questa attività: tutto è stato fatto per mezzo di lui.

Gv 1,3-4 (Nota esegetica)

Le comuni edizioni bibliche normalmente scrivono il 3° ed il 4° versetto del Vangelo di Giovanni in questo modo :

Gv 1,4

« In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini*; »
*(Vedi la nota esegetica Gv 1,3-4) 

Mentre nei Sinottici il fulcro attorno al quale ruota la predicazione di Gesù è costituito dal "Regno di Dio" che Lui è venuto a portare sulla terra... nel Vangelo di Gv il punto focale si sposta sulla “persona” stessa di Gesù, che attua questo Regno divino comunicando agli uomini la vita.

Gv 1,5

« la luce splende nelle tenebre e le tenebre non l'hanno vinta.»

Dopo averci detto che “la vita era la luce degli uomini”, riferendosi al “ruolo” rivestito dal Logos divino nel guidare ogni essere umano verso la pienezza di un'esistenza interiore vivificata dalla relazione con Dio... Gv ci dice adesso che se questa luce divina oggi splende nelle tenebre... è perché le tenebre non l'hanno vinta (nel senso che "non l'hanno potuta arrestare").

Gv 1,6

Giovanni Battista mentre abbraccia l'ariete, simbolo di Cristo
(Particolare di un dipinto del Caravaggio)
« Venne un uomo mandato da Dio: e il suo nome era Giovanni.»

Nell'ambito dell'espressione del suo progetto salvifico rivolto all'umanità, Dio si avvale anche di un uomo mandato da Lui e... significativamente... non si tratta di una persona inserita nel sistema religioso “istituzionale” dell'epoca.

Gv 1,7

« Egli venne come testimone per dare testimonianza alla luce, perché tutti credessero per mezzo di lui. »

La missione di Giovanni non è circoscritta ad una determinata etnia, né ad uno specifico gruppo religioso, ma è invece un messaggio universale rivolto a tutti, cioè all'umanità intera, presente e futura, con il fine di risvegliare negli uomini l'anelito latente... di raggiungere la pienezza spirituale della propria vita.

Gv 1,8

« Non era lui la luce, ma doveva dare testimonianza alla luce. »

Questa precisazione... che distingue tra la “lampada-testimone” Giovanni, e la Luce-Cristo... è resa necessaria dal fatto che sul finire del I secolo d.C., nell'epoca in cui venne scritto questo Vangelo, ancora esistevano dei discepoli di  Giovanni Battista convinti che il Messia fosse stato lui... e non Gesù.
Gv allora qui scrive chiaramente "Non era lui la luce" e, tra non molto, l'evangelista riporterà anche le inequivocabili parole dello stesso Giovanni Battista: “Io non sono il Cristo” (Gv.1,20)

Segue: Gv 1,9

Gv 1,9

« Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo.»

In contrapposizione alle luci ingannevoli che attirano l'attenzione religiosa dei popoli, Gv scrive che il Verbo divino è la luce vera (in greco alēthinon, vale a dire “ciò che è autentico”) che si irraggia nel mondo e, “dettaglio” assolutamente importante, che illumina non l'umanità in generale... bensì ciascun uomo, individualmente.

Gv 1,10

« Era nel mondo e il mondo è stato fatto per mezzo di lui; eppure il mondo non lo ha riconosciuto. »

Nel breve volgere di una frase, il termine "mondo" è qui utilizzato con due significati ben distinti:
Dapprima designa il creato con gli esseri viventi che vi abitano, ovvero tutto ciò che è stato fatto per mezzo di lui (il Verbo)...
Subito dopo "mondo" sta invece a significare le “tenebre” che si oppongono alla “Luce” divina.

Gv 1,11

« Venne fra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto. »

Dopo aver denunciato il fatto che, in generale, “il mondo non ha riconosciuto il Verbo” (cf. Gv 1,10), Gv focalizza adesso l'attenzione su un aspetto più preciso:
Il Verbo è venuto fra i suoi (tà ídia), e i suoi (hoi ídioí) non lo hanno accolto.

Gv 1,12

« A quanti però lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome, »

Diversamente dalla tradizione religiosa del Giudaismo... nella quale era l'essere umano a dover cercare il Signore e ad andare verso di Lui mediante uno zelo religioso volto ad “accattivarsene” il favore... il concetto teologico sottostante a questo versetto di Gv è quello di Dio che va con il Suo amore verso l'essere umano, il quale... per conseguenza... è interpellato nella sua libertà di accoglierLo, oppure no.

Gv 1,13

« i quali, non da sangue né da volere di carne né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati. »

Gv contrappone qui due tipi di generazione... umana e divina... e afferma che “i figli di Dio” (Gv 1,12) sono stati generati non da sangue... ovvero non attraverso un naturale processo biologico di nascita... né da volere di carne né da volere di uomo, cioè neanche da una volontà riconducibile in qualsiasi modo all'essere umano... sia esso per esempio un genitore che voglia attribuirla ai propri figli, o un rappresentante dell'autorità religiosa che si ritenga legittimato a conferire la figliolanza divina a qualcuno.
Invece... Gv ci dice che unicamente Dio può provvedere alla generazione divina la quale, peraltro, non deve neanche essere intesa come una sua azione unilaterale, come se Lui dovesse arbitrariamente decidere chi deve essere “suo figlio” e chi no.

Gv 1,14a

« E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi;»

Il Verbo* divino, per mezzo del quale “tutto” “è stato fatto” (Gv 1,3) e che sin dall'inizio del cosmo “era la vita” e “la luce degli uomini” (Gv 1,4)... ad un certo punto della storia - scrive Gv - si fece carne.
Per indicare questo avvenimento, l'evangelista usa il termine greco “sárx” (carne) a significare proprio la fragile debolezza dell’umanità, affermando dunque un concetto teologico che dal punto di vista razionale appare paradossale:

Gv 1,14b

« e noi abbiamo contemplato la sua gloria, »

Nella tradizione biblica, la “gloria” di Dio era intesa come la manifestazione di Dio stesso, che si rendeva presente con i segni, le opere e la potenza mediante le quali Lui agiva in soccorso del popolo di Israele.
Il “Volto” divino rimaneva peraltro parzialmente velato, tant'è vero che, per esempio, a Mosè che gli chiedeva “Mostrami la tua gloria”, Dio rispondeva: “Tu non potrai vedere il mio volto, perché nessun uomo può vedermi e restare vivo!” (Es.33,18.20)... e lo stesso dicasi, per fare un altro esempio, nel caso della manifestazione del Sinai quando “La gloria del Signore apparve nella nube” (Es 16,10; 24,17), cioè in modo da non rivelarsi pienamente allo sguardo dell'essere umano.
Con l'incarnazione del Verbo, ci dice Gv, tutto cambia:

Gv 1,14c

« gloria come del* Figlio unigenito che viene dal Padre, pieno di grazia e di verità. »

...l'evangelista aggiunge poi che si tratta di gloria come (in greco hōs) del Figlio unigenito che viene dal Padre.
La comprensione di questa espressione richiede un preliminare chiarimento evidenziato dalla lettura esegetica, la quale spiega che il termine di paragone come non è la traduzione appropriata del termine greco usato da Gv... perché hōs più precisamente significa “di”, nel senso “in qualità di”.
Le parole di Gv dovrebbero pertanto essere tradotte "gloria di* Figlio unigenito", a significare che è proprio in quanto “Figlio unico” di Dio che il Verbo irraggia la Sua gloria.

Gv 1,15

Giovanni Battista
(olio su tela di Nicolas Régnier - particolare)
« Giovanni gli dà testimonianza e proclama: "Era di lui che io dissi: Colui che viene dopo di me è avanti a me, perché era prima di me".»

Tornando a parlare di Giovanni Battista che gli dà testimonianza [al “Verbo che si fece carne”(Gv 1,14)] ... l'evangelista si esprime appositamente al presente (gli dà).
In questo modo, Gv vuole dirci che il Battista non è soltanto un testimone che ha parlato in un momento “archiviato” nella storia passata, ma è invece colui che proclama una testimonianza che resta attuale anche per le generazioni successive alla sua.

Gv 1,16

« Dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto: grazia su grazia. »

Gv scrive qui che dalla pienezza del Verbo, "noi tutti abbiamo ricevuto - compresi, estendendo il concetto, anche noi comunità cristiana di oggi - grazia su grazia".
Alla luce del successivo versetto (Gv 1,17), queste parole dell'evangelista si presterebbero ad essere lette come un riferimento alla successione delle due cosiddette “economie di salvezza"... prima quella di Mosè e poi quella di Gesù Cristo... com'era infatti d'uso interpretare da parte di una grande "fetta" della prima Cristianità che peraltro, assumendo questa visione teologica, si distanziava dalla posizione di Paolo di Tarso, per il quale la “Legge mosaica” era un impedimento e non certo una “grazia”.

Gv 1,17

« Perché la legge fu data per mezzo di Mosè, la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo.»

Eccoci giunti al punto in cui, per la prima volta in questo suo Vangelo, Gv nomina espressamente Gesù Cristo.
Per comprendere il messaggio dell'evangelista, dobbiamo innanzitutto osservare da vicino l'espressione "la grazia e la verità" che - ci dice la lettura esegetica cui in precedenza abbiamo fatto riferimento (cfr. "grazia della verità" in Gv 1,14c) - dovrebbe più correttamente essere tradotta in questo modo: la grazia della verità fu per mezzo di Gesù Cristo.

Gv 1,18

« Dio, nessuno lo ha mai visto: il Figlio unigenito, che è Dio ed è nel seno del Padre, è lui che lo ha rivelato.»

Mentre nell'Antico Testamento si legge che “il Signore parlava con Mosè faccia a faccia” (Es 33,11; cfr. Dt.34,10)... Gv afferma che Dio, nessuno lo ha mai visto, ed in questo modo chiarisce ulteriormente come tutte le precedenti esperienze religiose siano incomplete rispetto alla pienezza della “verità”(Gv 1,17) portata da Gesù Cristo.

La testimonianza di Giovanni e i primi discepoli (Gv 1,19-51)

Durante la lettura del Prologo poetico (Gv 1,1-18) di questo quarto Vangelo... ci siamo trovati di fronte ad uno scenario cosmico incentrato sul Verbo divino coeterno al Padre, che in un preciso momento della storia dell'umanità "si fece carne" (Gv 1,14) in Gesù.
Adesso l'evangelista ci presenta le prime testimonianze riguardo alla Sua esistenza terrena:
Prima la testimonianza di Giovanni Battista... e poi quella dei primi discepoli, i quali attribuiscono a Gesù titoli differenti, a seconda dei diversi modi di comprendere la sua figura e la sua missione.

Gv 1,19-20

Giovanni Battista
(Olio su tela, Caravaggio)
« Questa è la testimonianza di Giovanni, quando i Giudei gli inviarono da Gerusalemme sacerdoti e leviti a interrogarlo: "Tu, chi sei?".
Egli confessò e non negò.  Confessò: "Io non sono il Cristo". »


Ecco iniziare la testimonianza di Giovanni, da lui resa agli incaricati che i Giudei*, cioè le autorità religiose del popolo ebraico, hanno inviato da Gerusalemme.
L'evangelista precisa che si tratta dei sacerdoti, ovvero gli addetti al culto venuti per interrogarlo ... e dei leviti, ovvero coloro che all'interno del Tempio svolgono anche la funzione di polizia e dunque, all'occorrenza, potrebbero arrestarlo.

Gv 1,21-22

« Allora gli chiesero: "Chi sei, dunque? Sei tu Elia?".
"Non lo sono", disse. 

"Sei tu il profeta?".
"No", Rispose.
Gli dissero allora: "Chi sei? Perché possiamo dare una risposta a coloro che ci hanno mandato. Che cosa dici di te stesso?".»


La domanda che viene qui posta al Battista... "Sei tu Elia?"... fa riferimento al grande profeta ebraico che, come annunciato da Malachia (Ml 3,23), sarebbe tornato per precedere la venuta del Messia... mentre "Sei tu il profeta?" si riferisce al profeta promesso da Dio a Mosè (Dt 18,15.18).

Gv 1,23

« Rispose: "Io sono voce di uno che grida nel deserto: Rendete dritta la via del Signore, come disse il profeta Isaia".»

Questa celebre risposta del Battista, così tradotta da molte edizioni bibliche, va innanzitutto “depurata” del vocabolo “sono”, perché  l'evangelista nell'originale greco ha scritto semplicemente “Egō phōnē”... cioè "Io voce".

Gv 1,24-25

« Quelli che erano stati inviati venivano dai farisei.
Essi lo interrogarono e gli dissero: "Perché dunque tu battezzi, se non sei il Cristo, né Elia, né il profeta?".»


Il significato delle parole dell'evangelista "venivano dai farisei", va qui inteso nel senso che, oltre a “sacerdoti e leviti” (Gv 1,19), c'erano in quel gruppo anche i farisei... gli scrupolosi e pii osservanti della legge mosaica che formavano l’élite spirituale.

Gv 1,26

« Giovanni rispose loro: "Io battezzo nell'acqua. In mezzo a voi sta uno che voi non conoscete, »

In modo sbrigativo Giovanni risponde a "quelli che erano stati inviati" (Gv 1,24) da Gerusalemme: "Io battezzo nell'acqua"... e poi sposta subito l'attenzione su "uno che voi non conoscete".
Lo scopo del battesimo da lui celebrato è proprio quello di preparare la venuta di questa “figura” che è sconosciuta a coloro che lo stanno interrogando e, per il momento, è ignota anche a lui.

Gv 1,27

« colui che viene dopo di me: a lui io non sono degno di slegare il laccio del sandalo".»

Queste parole del Battista hanno il loro “retroterra” nella tradizione dei profeti ebraici, per i quali era usuale esprimere l'alleanza tra Dio ed il Suo popolo attraverso l'immagine dell'unione nuziale (Is 54; 62; Ger 2; Ez 16; Os 2,4ss)... in una simbologia che vedremo tra breve ripresentarsi anche in occasione dell'episodio di Cana (Gv 2,1s).

Gv 1,28

« Questo avvenne in Betània, al di là del Giordano, dove Giovanni stava battezzando.»

In conclusione del brano riferito al primo giorno di questa cosiddetta “settimana inaugurale” della narrazione (Cf. Gv 1,19-28), l'evangelista pone una nota geografica simbolicamente importante: "Questo avvenne in Betania, al di là del Giordano".
Nell'Antico Testamento il Giordano è il fiume che Giosuè attraversa alla fine dell'Esodo (Gs 3,14-17) per fare ingresso nella Terra Promessa e dunque, mediante la precisazione "al di là del Giordano", l’evangelista allude a quello che era l'intento dell'attività religiosa di Giovanni Battista: creare le condizioni perché questo storico ingresso potesse simbolicamente rinnovarsi.

Gv 1,29

« Il giorno dopo, vedendo Gesù venire verso di lui disse: "Ecco l'agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo! »

Dando l'indicazione "il giorno dopo", l'evangelista ci fa entrare nel secondo dei giorni che si susseguono seguendo simbolicamente il modello dei sette giorni della creazione descritti nella Genesi.
Il culmine sarà costituito dal giorno che concluderà questa settimana inaugurale del Quarto Vangelo nel quale, come vedremo, Gv racconterà l'episodio delle Nozze di Cana (Gv.2,1ss), presentandole come l'annunzio della Nuova Alleanza che completa l'Antica.

Gv 1,30

« Egli è colui del quale ho detto: “Dopo di me viene un uomo che è avanti a me, perché era prima di me”. »

Qui Giovanni Battista si riferisce a Gesù ancora come ad un uomo, ovvero usando un'espressione che, di per sé, potrebbe anche indurre a leggere la frase "era prima di me" in un senso letterale:
Per esempio, si potrebbe pensare che il Battista stesse semplicemente parlando di un uomo che era più anziano di lui... o che magari lui credesse di trovarsi di fronte al ritorno del profeta Elia, che nella tradizione giudaica era atteso per la fine dei tempi.  

Gv 1,31

« Io non lo conoscevo, ma sono venuto a battezzare nell'acqua, perché egli fosse manifestato a Israele".»

Dopo aver iniziato a dare testimonianza del Cristo, Giovanni ora parla di sé stesso:
Dicendo "io non lo conoscevo (Gesù)" ... il Battista attesta la sua “normalità” di essere umano, incaricato da Dio della missione di testimone, ma in una posizione di inferiorità nei confronti di Colui al quale è chiamato a dare testimonianza.

Gv 1,32

« Giovanni testimoniò dicendo: "Ho contemplato lo Spirito discendere come una colomba dal cielo e rimanere su di lui.»

Le prime parole della testimonianza di Giovanni, che qui sono scritte "ho contemplato"... se vengono lette in un'altra traduzione possibile - vale a dire "ho visto" - rivelano la loro corrispondenza con le parole che vedremo inaugurare la frase finale di questa testimonianza: "ho visto e ho testimoniato che questi è il Figlio di Dio" (Gv 1,34).
Così, rilevando come il verbo “vedere” suggelli l'inizio e la fine della testimonianza del Battista, viene posta in evidenza un'allusione al compimento della profezia di Isaia: “la vedranno (la gloria del Signore)” (Is 40,5).

Gv 1,33

« Io non lo conoscevo, ma proprio colui che mi ha inviato a battezzare nell'acqua mi disse: “Colui sul quale vedrai discendere e rimanere lo Spirito, è lui che battezza nello Spirito Santo”. »

Anche se lo aveva appena detto (Gv 1,31), Giovanni ribadisce qui: "Io non lo conoscevo (Gesù)"... e subito dopo precisa di essersi reso conto della sua reale identità grazie ad una rivelazione divina, ricevuta in precedenza, riguardo a "Colui - sul quale avrebbe visto - discendere e rimanere lo Spirito".

Gv 1,34

« E io ho visto e ho testimoniato che questi è il Figlio di Dio". »

Dopo aver replicato l'affermazione “ho visto” (Cf. lettura di Gv 1,32) con la quale, all'inizio di questa sua decisiva testimonianza, ha fatto riferimento al battesimo di Gesù...  il Battista ora Lo definisce il "Figlio di Dio", secondo questa comune traduzione... o “l'eletto di Dio”, secondo altre edizioni bibliche che per esempio fanno riferimento al codice sinaitico.

Gv 1,35-37

« Il giorno dopo Giovanni stava ancora là con due dei suoi discepoli e, fissando lo sguardo su Gesù che passava, disse: "Ecco l'agnello di Dio!".
E i suoi due discepoli, sentendolo parlare così, seguirono Gesù. »

I due discepoli ascoltano le parole con le quali il loro maestro, Giovanni Battista, indica nuovamente Gesù quale agnello di Dio (cfr.Gv 1,29)... e le comprendono come un'esortazione ad unirsi a Lui.
Raccogliendo questo invito, loro "seguirono Gesù"... e poiché Giovanni era a sua volta “mandato da Dio” (Gv 1,6), in sostanza è Dio stesso che “assegna” a Gesù i suoi primi discepoli.

Gv 1,38

« Gesù allora si voltò e, osservando che essi lo seguivano, disse loro: "Che cosa cercate?". Gli risposero: "Rabbì – che, tradotto, significa Maestro -, dove dimori?".»

Accogliendo l'annuncio di Giovanni Battista, i due discepoli si sono messi al seguito di Gesù il quale - scrive Gv - "si voltò" e "disse loro" le prime parole da Lui pronunciate in questo Vangelo: "Che cosa cercate?".
Questa perentoria domanda, che può anche essere tradotta  “che cosa volete?”... vuole spingere i due discepoli a focalizzare la propria attenzione su quale sia la volontà che effettivamente li anima.

Gv 1,39

« Disse loro: "Venite e vedrete". Andarono dunque e videro dove egli dimorava e quel giorno rimasero con lui; erano circa le quattro del pomeriggio. »

Ai due discepoli che gli hanno chiesto “dove dimori?” (Gv 1,38), Gesù non risponde designando un luogo, bensì prospettando loro una esperienza da compiere.
Infatti... pur se le Sue parole "Venite e vedrete"  sono comprensibili anche sul piano fisico, come un invito a porsi al seguito della Sua persona... su un piano più profondo la “dimora” in cui Lui si trova, e alla quale allude, è la Sua “inabitazione” in Dio Padre.

Gv 1,40

« Uno dei due che avevano udito le parole di Giovanni e lo avevano seguito, era Andrea, fratello di Simon Pietro.»

Più ancora di Andrea, fratello di Simon Pietro... che è quell' "uno dei due" di cui l'evangelista cita espressamente il nome... a creare motivo di discussione tra gli studiosi è il discepolo che non viene qui identificato.
Alcuni vorrebbero riconoscervi lo stesso apostolo Giovanni, il figlio di Zebedeo, che essendo l'autore del Vangelo tacerebbe il suo nome... mentre altri lo considerano Filippo, il compagno abituale di Andrea che ricomparirà fra poco (Gv 1,43).

Gv 1,41

« Egli incontrò per primo suo fratello Simone, e gli disse: "Abbiamo trovato il Messia” - che si traduce Cristo - »

Il tam-tam che si è messo in moto grazie alla testimonianza resa da Giovanni Battista, comincia già ad espandersi mediante Andrea, che lo trasmette a suo fratello Simone.
Diversamente dalla tradizione sinottica, nella quale ci viene detto che Andrea e Simone sono contemporaneamente chiamati da Gesù... nella narrazione di Gv è Andrea che si pone per primo al Suo seguito, e che successivamente si rivolge al  fratello Simone dicendogli "abbiamo trovato il Messia".
Ad Andrea viene pertanto riconosciuto quel primato nella proclamazione della messianicità di Gesù, che i Sinottici attribuiscono invece a Simon Pietro (Mc 8,29; Lc 9,20; Mt 16,16)... e che in Matteo viene "incorniciato" dalle celebri parole "tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa" (Mt 16,16-18).

Gv 1,42

« e lo condusse da Gesù. Fissando lo sguardo su di lui, Gesù disse: "Tu sei Simone, il figlio di Giovanni; sarai chiamato Cefa” - che significa Pietro. »

Già solo fissando lo sguardo sull’uomo che e stato condotto da lui, Gesù lo osserva “dentro”, svelando la realtà che si trova nel suo profondo.
Infatti, subito gli dice "tu sei Simone, il figlio di Giovanni", con un'identificazione che peraltro, in apparenza, risulta essere in contraddizione con le parole di Gesù riportate nel Vangelo di Matteo: “Beato sei tu, Simone, figlio di Giona” (Mt 16,17).

Gv 1,43-44

« Il giorno dopo Gesù volle partire per la Galilea; trovò Filippo e gli disse: "Seguimi!".
Filippo era di Betsàida, la città di Andrea e di Pietro.»


Nel testo originale del suo Vangelo Gv ha scritto letteralmente “Tē (il) epaurion (giorno dopo) ēthelēsen (egli volle) exelthein (partire) esi (per) tēn Galilaian (la Galilea)”... ed il fatto che il soggetto dell'espressione egli volle non sia definito chiaramente, fa sì che alcuni esegeti non lo ritengano “Gesù”, quanto invece Andrea che volle partire per la Galilea.

Gv 1,45

« Filippo trovò Natanaèle e gli disse:
"Abbiamo trovato colui del quale hanno scritto Mosè, nella Legge, e i Profeti: Gesù, il figlio di Giuseppe, di Nàzaret".»


Nell'incontro che costituisce il “vertice” di questo brano, Filippo trovò Natanaèle, un discepolo nominato soltanto in questo Vangelo e che, in seguito, leggeremo essere originario di “Cana di Galilea” (Gv 21,2).

Gv 1,46

« Natanaèle gli disse: "Da Nàzaret può venire qualcosa di buono?". Filippo gli rispose: "Vieni e vedi".»

La risposta di Natanaèle... formulata come una domanda... esprime tutta la sua ironica perplessità: "da Nàzaret può venire qualcosa di buono?".
Ben diverse erano infatti le aspettative degli studiosi della Scrittura, che escludevano la Galilea (cfr Gv 7,52 e anche Gv 7,41) e con essa l'insignificante Nàzaret dai luoghi che avrebbero potuto dare i natali al Messia.

Gv 1,47

« Gesù intanto, visto Natanaèle che gli veniva incontro, disse di lui: "Ecco davvero un Israelita in cui non c'è falsità".»

Prima ancora che Natanaèle si accorga di Lui, è Gesù a scorgerlo che gli veniva incontro... e già lo conosce per come è dentro.
Gesù dice infatti di lui che è "un Israelita"… usando cioè una definizione che in Gv ha una valenza positiva*.

Gv 1,48

« Natanaèle gli domandò: "Come mi conosci?".
Gli rispose Gesù: "Prima che Filippo ti chiamasse, io ti ho visto quando eri sotto l'albero di fichi".»


All'udire le parole di Gesù, che in modo soprannaturale già lo conosce prima ancora di averlo incontrato, Natanaèle rimane sorpreso.
Per conseguenza... diversamente dall'interrogativo ironico che ha appena rivolto a Filippo...  Natanaèle adesso formula una domanda che esprime il suo effettivo bisogno di capire: Come mi conosci?

Gv 1,49

« Gli replicò Natanaèle: "Rabbì, tu sei il Figlio di Dio, tu sei il re d'Israele!".»

Colpito dalla capacità di Gesù di “leggere” dentro di lui,  Natanaèle si rende subito conto della veridicità di ciò che Filippo gli aveva annunciato (Gv 1,45), e riconosce la messianicità del Rabbì che si trova di fronte a lui, dicendogli: "tu sei il Figlio di Dio, tu sei il re d'Israele!".

Gv 1,50

« Gli rispose Gesù: "Perché ti ho detto che ti avevo visto sotto l'albero di fichi, tu credi? 
Vedrai cose più grandi di queste!".»

Diversamente dall'episodio sinottico del riconoscimento della messianicità di Gesù da parte di Pietro (Mt 16,16-17), che l'evangelista Matteo presenta come una rivelazione che il discepolo ha ricevuto dall'alto... in questo racconto giovanneo Gesù accetta le affermazioni messianiche di Natanaèle nei Suoi confronti (Gv 1,49), ma al contempo le ridimensiona, dicendogli "vedrai cose più grandi di queste".

Gv 1,51

« Poi gli disse: "In verità, in verità io vi dico: vedrete il cielo aperto e gli angeli di Dio salire e scendere sopra il Figlio dell'uomo".»

Introducendola con la formula solenne "in verità, in verità io vi dico", Gesù pronuncia qui una frase di fondamentale importanza, in relazione al significato di tutta la Sua azione terrena.
Per comprenderla, è opportuno partire dall'osservare come Lui parli di Se stesso in terza persona... attribuendosi un titolo di origine apocalittica, "Figlio dell'uomo", usato dal profeta Daniele in una prospettiva escatologica, proiettata verso la fine dei tempi: “ecco venire con le nubi del cielo uno simile a un figlio d'uomo” (Dn 7,13).