Gv 4,53

« Il padre riconobbe che proprio a quell'ora Gesù gli aveva detto: "Tuo figlio vive" e credette lui con tutta la sua famiglia.»

L'evangelista sottolinea la coincidenza dell'avvenuta guarigione a distanza proprio a quell'ora (in cui) Gesù gli aveva detto: “Tuo figlio vive”... e questa precisazione fa tornare in mente l'analogo brano sinottico del centurione al quale Gesù disse:
«“Va', avvenga per te come hai creduto”. In quell'istante il suo servo fu guarito »
(Mt 8,13; cfr. Mt 15,28).
E' dunque la parola di Gesù... messa in evidenza nel Suo potere vivificante... che compie la guarigione.
Gv annota che Il padre riconobbe la perfetta e miracolosa coincidenza... e credette lui con tutta la sua famiglia, per cui quest'uomo appare giungere alla fede piena soltanto dopo la constatazione del “segno” operato da Gesù.
A prima vista, sembrerebbe dunque scomparire la differenza rispetto ai destinatari delle precedenti parole di Gesù “Se non vedete segni e prodigi, voi non credete” (Gv 4,48)
Invece... ben diversamente da loro... questo funzionario ha compiuto un fondamentale passo in avanti verso la vera fede quando ha accettato di mettersi in cammino confidando nella parola di Gesù, senza più chiedere che Lui discendesse a Cafarnao per manifestare personalmente i Suoi poteri taumaturgici.
Poi... dopo aver avuto il “segno” della guarigione del figlio... quest'uomo credette lui con tutta la sua famiglia, nel senso che in quel momento lui giunse alla pienezza della fede in Gesù quale Messia, riconoscendoLo come Colui che... già solo con la Sua parola... ha il potere di far passare dalla morte alla vita.    

Segue: Gv 4,54


Dal “funzionario del re”... al “padre” (Gv 4,43-54)
 (Approfondimento)
 Prestando attenzione ai termini usati dall'evangelista in questo brano, ci si può accorgere di una particolarità:
Colui che all'inizio è stato presentato come il “funzionario del re” (in greco “basilikos”) che chiese a Gesù di “scendere a guarire suo figlio” (Gv 4,46; cfr. Gv 4,49) … viene poi chiamato “quell'uomo” (in greco “ὁ anthrōpos”) quando “credette alla parola che Gesù aveva detto” (Gv 4,50)… per “meritare” infine l'appellativo “padre” (in greco “ho patēr”) quando « riconobbe che proprio a quell'ora Gesù gli aveva detto: Tuo figlio vive» (Gv 4,53).  
Usando questa terminologia, Gv lascia trasparire il percorso interiore compiuto dal funzionario di cui ci sta parlando:
Dopo essersi rivolto a Gesù come farebbe nei confronti di un suo superiore gerarchico, ovvero chiedendoGli di far uso della Sua autorità sulla vita e dicendoGli “scendi, prima che il mio bambino muoia” (Gv 4,49)... questo dignitario si “spoglia” del suo ruolo sociale per diventare prima l' “uomo” che si fida e, in ultimo, il “padre” che ama perché “ravvivato” interiormente dalla fede in Cristo.
Questa prospettiva viene ulteriormente rafforzata osservando da vicino la parola “bambino”, con cui viene normalmente tradotto il termine greco “paidion” (Gv 4,49) usato dall'evangelista.
Considerando che in greco “paidion” oltre che “ragazzino” significa anche giovane “servo”, è come se Gv... usando questa parola... avesse voluto lasciar trasparire un aspetto della personalità di questo funzionario regio:
Abituato a ragionare in termini gerarchici, lui non poteva che considerare quel “bambino” come un suo sottomesso... e solo dopo il processo di trasformazione che lo ha fatto diventare prima “quell'uomo” e poi “il padre”, Gv lascia intendere che lui abbia recuperato l'autentico significato del rapporto con suo figlio, tant'è vero che l'evangelista alla fine parla anche della “sua famiglia” (Gv 4,53), che “credette” insieme a lui.
Ecco allora che guardando da vicino il protagonista di questo brano... insieme al suo percorso di crescita nella fede è possibile intravvedere in parallelo anche il suo percorso di crescita in umanità... ed entrambi questi aspetti hanno evidentemente fatto parte del progresso interiore che lui ha dovuto compiere, prima che la Parola divina operasse la Sua miracolosa comunicazione vitale al figlio malato.
Alla iniziale aspettativa del funzionario, in base alla quale lui avrebbe voluto che il taumaturgo-Gesù “scendesse” per operare un miracolo... il Cristo ha risposto capovolgendo i termini della questione, ed intimando al suo interlocutore di essere lui a “scendere” per andare dal figlio... in una discesa materiale che “metaforicamente” richiama anche la necessità di una sua discesa dal “piedistallo” della mentalità che lui aveva maturato, in conseguenza del ruolo socialmente rivestito.
Se ne può dedurre che... oltre ad essere moribondo fisicamente... quel suo figlio doveva soffrire anche per una carenza di affetto paterno e dunque, affinché la sua guarigione possa essere piena, alla comunicazione vitale di Cristo deve accompagnarsi il recupero della paternità da parte di quest'uomo che, nei confronti di quel “bambino”, deve tornare ad essere “padre”.
Questa trasformazione avviene quando “Quell'uomo credette alla parola che Gesù gli aveva detto” (Gv 4,50), cioè quando il “funzionario” socialmente “potente” lascia il posto al semplice “uomo” che crede alla Parola divina che gli viene detta e così... oltre a superare la mentalità di quanti “non credono, se non vedono segni e prodigi” (Cfr. Gv.4,48)... lui si “spoglia” della mentalità che fino ad allora lo aveva portato a sacrificare la sua paternità e, in generale, il rapporto affettivo con la sua famiglia.
Ecco allora che Gesù gli dice “Va', tuo figlio vive”... e lui si mette “in cammino” (Gv 4,50).
Per cogliere il messaggio dell'evangelista nella sua pienezza, è poi necessario rilevare ciò che abbiamo già visto anche in precedenza, ovvero che quando Gv non fa il nome di un personaggio del suo Vangelo, ciò sta a significare che si tratta di una figura rappresentativa.

In questo caso il funzionario del re... che è andato da Gesù per chiedere la guarigione del figlio rivelandosi lui stesso un “malato”, che abbisognava di essere guarito dalla sua mentalità... rappresenta anche chiunque altro, rivestendo un qualsiasi ruolo sociale, se ne fa “assorbire” al punto da “spersonalizzarsi”, mettendo per conseguenza in secondo piano altri fondamentali valori della sua vita, a cominciare ovviamente dalle relazioni con i propri familiari.
Osservando ciò che è accaduto a lui, che avrebbe potuto insistere ulteriormente con Gesù per chiederGli la guarigione del figlio, ma non avrebbe ottenuto nulla senza prima operare in sé stesso il cambiamento... ogni lettore si trova di fronte ad uno modello di cui tener conto nella propria esistenza:
Anziché chiedere le grazie aspettandosi che Dio debba “scendere”... come la “manna” dal cielo... ciascuno è chiamato innanzitutto a trasformare sé stesso, facendosi “abitare” dalla Parola di Dio e diventando così, grazie a Lui, “guarigione” per le persone care che hanno bisogno di aiuto.
Questo è infatti ciò che è accaduto a questo funzionario, che ha dovuto prima maturare una duplice conversione... alla fede ma anche, in contemporanea, alla parte migliore della propria umanità tornando ad essere “padre”... affinché, in concomitanza con questo suo cambiamento, Cristo donasse la vita a suo figlio morente.
La sua vicenda si inserisce dunque nella “direzione di marcia” che può permettere ad ogni credente di realizzare nella propria vita la promessa di Gesù che più avanti incontreremo: “chi crede in me compirà opere ancora più grandi di quelle che io ho compiuto” (Gv.14,12).   
Affinché ciò accada, è necessario il passaggio dalla concezione del miracolo “calato dall'alto”, cioè inteso come un fatto prodigioso che interviene dall'esterno indipendentemente da noi... alla consapevolezza del cambiamento che ciascuno di noi è innanzitutto chiamato ad operare dentro di sé... così da diventare collaboratori di Dio, il quale allora interviene miracolosamente nelle nostre esistenze.

Segue: Gv 4,54