Gv 3,11

« In verità, in verità io ti dico: noi parliamo di ciò che sappiamo e testimoniamo ciò che abbiamo veduto; ma voi non accogliete la nostra testimonianza.»

Dopo aver pronunciato per la terza volta la solenne formula "in verità, in verità io ti dico", Gesù continua non con un “io”, bensì con un noi che costituisce una “stranezza” linguistica simile a quella già incontrata in precedenza (Gv 3,7).
In realtà, dal momento che era stato proprio Nicodèmo a rivolgersi a Lui dicendo “sappiamo che sei venuto da Dio” (Gv 3,2)... le parole pronunciate adesso da Gesù appaiono come una sorta di “eco”:
Infatti, poiché il nobile giudeo ha parlato riferendosi alla comunità giudaica di cui fa parte, Gesù risponde con una frase al "noi" che si riferisce alla comunità dei suoi discepoli, presenti e futuri.
Le sue parole "noi parliamo di ciò che sappiamo e testimoniamo ciò che abbiamo veduto", fanno infatti capire che lo sguardo di Gesù è già proiettato nel tempo in cui i suoi discepoli... dopo aver raccolto la testimonianza di ciò che Lui personalmente conosce per averlo “visto e udito” (Cfr. Gv 3,32) presso il Padre... trasmetteranno a loro volta questa testimonianza.
Ecco allora che Nicodèmo, il cui interesse era stato suscitato dai “segni che tu (Gesù) compi” (Gv 3,2), viene adesso posto di fronte ad una prospettiva diversa e ancor più impegnativa:
Lui ora si trova infatti nella condizione di poter credere non in funzione delle opere miracolose compiute da Gesù, bensì in funzione della sua Parola.
Evidentemente, si tratta di una prova di fede che Nicodèmo non supera, come attestano le successive parole pronunciate da Gesù e rivolte, oltre che a lui, anche a quanti - in Israele - tentennano ad accogliere la sua testimonianza rivelatrice di Dio: "ma voi non accogliete la nostra testimonianza".
Questa frase di Gesù non va comunque intesa come un suo giudizio definitivo su Nicodèmo - che più avanti vedremo agire in suo favore (cfr. Gv 7,50-51; Gv 19,39) - quanto invece come una affermazione volta a mettere il suo interlocutore di fronte alla necessità di effettuare una scelta:
Nicodèmo è infatti chiamato a decidersi o per il rifiuto, oppure per l'accoglienza di Colui che è il testimone diretto di Dio, “il Figlio unigenito, che è Dio ed è nel seno del Padre” (Gv 1,18).

Segue: Gv 3,12