Gv 1,49

« Gli replicò Natanaèle: "Rabbì, tu sei il Figlio di Dio, tu sei il re d'Israele!".»

Colpito dalla capacità di Gesù di “leggere” dentro di lui,  Natanaèle si rende subito conto della veridicità di ciò che Filippo gli aveva annunciato (Gv 1,45), e riconosce la messianicità del Rabbì che si trova di fronte a lui, dicendogli: "tu sei il Figlio di Dio, tu sei il re d'Israele!".
L'espressione "Re d’Israele" era un titolo tradizionalmente attribuito al Messia, inteso quale liberatore che avrebbe restaurato il Regno di Dio in Israele... e lo vedremo acclamare anche dalla folla, in occasione dell'ingresso messianico di Gesù in Gerusalemme (Gv 12,13).
Invece è più raro l'attributo messianico "Figlio di Dio", che per esempio viene evocato nella frase del salmista “Tu sei mio figlio” (Sal 2,7), ma rimanendo comunque in subordine rispetto alla precedente definizione di Messia-re (Sal 2,6).
Qui, invece, Natanaèle antepone l'attributo messianico più raro "Figlio di Dio" a quello più tradizionale "Re d'Israele".
Questa “stranezza” non deve far pensare che Natanàele avesse riconosciuto la realtà di Gesù-Figlio di Dio in senso metafisico, conformemente al concetto giovanneo del Verbo incarnato*, anche perché...  altrimenti... Gesù non avrebbe motivo di dirgli subito dopo delle parole che annunciano una ulteriore rivelazione della Sua realtà divina (Gv 1,50.51).
Piuttosto... ci troviamo qui di fronte ad una situazione ricorrente in questo Quarto Vangelo, nel quale i vari protagonisti pronunciano sovente delle parole che, agli occhi dei lettori, “dicono” qualcosa di più del loro significato letterale... e li sollecitano ad una comprensione più profonda.
Così, le parole con le quali Natanaèle attribuisce qui a Gesù il titolo onorifico di Figlio di Dio in un senso tradizionale israelitico... “suonano” per i lettori come una dichiarazione della divinità di Cristo, nel senso che Gv ha annunciato sin dall'inizio di questo suo Vangelo.

Segue Gv 1,50

*Vedi nel Glossario la voce: "Logos"