Gv 14,28

« Avete udito che vi ho detto: “Vado e tornerò da voi”. Se mi amaste, vi rallegrereste che io vado al Padre, perché il Padre è più grande di me.»

In apertura di questo passaggio, Gesù ricorda il contenuto essenziale del suo discorso di addio: “vado e tornerò da voi”... [Nella stesura del testo greco, l'evangelista usa qui appositamente i due verbi utilizzati in precedenza, hypágō (“vado”, Cfr. Gv 13,33) e érkhomaiprós (“verrò da voi” Gv 14,18), a richiamare l'apertura e la chiusura del discorso].
Dopo aver donato la pace ai suoi discepoli (Cfr. Gv 14,27), ora Gesù ricorda loro che se Lo amassero... non dovrebbero rattristarsi, bensì gioire al pensiero di ciò che Lui ha promesso in relazione al Suo passaggio pasquale (Cfr. Gv 14,18-20.23)... perché è proprio la sua dipartita per far ritorno al Padre che spalanca a loro il cammino verso lo stesso Padre.
I discepoli già proverebbero questa gioia se avessero pienamente accolto e compreso le sue parole... ma evidentemente loro non si trovano ancora in questa condizione, alla quale accederanno solo dopo la Resurrezione di Cristo, grazie all'azione del Paràclito.
Per dare ragione della gioia che dovrebbe essere provata da coloro che Lo amano, Gesù pronuncia una frase… “perché il Padre è più grande di me”… che è stata oggetto delle   controversie cristologiche sviluppatesi nei primi secoli e, in particolare, è stata fraintesa durante i secoli dell’eresia ariana.
Questo “più grande” va inteso nel senso che Gesù si sta adesso presentando nella sua umanità... che verrà presto umiliata... e rispetto alla quale è più grande il Padre, Il quale già è (ed eternamente rimane) in quella “gloria” alla quale il Cristo farà ritorno dopo la resurrezione.

Segue: Gv 14,29

Vedi nel Glossario le voci:
“Gloria”
“Paràclito”

“Perché il Padre è più grande di me” 

Storicamente questa frase suscitò un grande dibattito teologico in seno alla cristianità e queste parole, estratte dal loro contesto, furono utilizzate dai discepoli di Ario per sostenere la loro dottrina teologica di Cristo subordinato al Padre... inteso cioè come la prima delle creature e non come il Figlio che è Uno con il Padre sin dal Principio (Cfr. Gv 1,1)... vale a dire sin dall'Eternità.
Le critiche dei Padri della Chiesa alle posizioni ariane si muovevano in due direzioni: alcuni (Origene, Tertulliano, Atanasio, Basilio, Crisostomo) leggevano in questo versetto l'affermazione che il Figlio, della stessa sostanza del Padre, era “meno grande” perché “generato” eternamente dall'ingenerato Padre.
Altri (Cirillo di Alessandria) sosteneva che il Figlio era “meno grande” del Padre perché aveva assunto la natura umana.
Anche senza dover necessariamente addentrarsi nelle questioni cristologiche che divisero la cristianità dei primi secoli, successivamente alla stesura di questo 4° Vangelo si può semplicemente fare un'osservazione:
Per Gv non costituiva un problema il fatto che, in un modo reputato "paradossale" dalla ragione umana, Gesù proclamasse da un lato la reciproca immanenza con il Padre e la sua unità con Lui, dicendo per esempio “Io e il Padre siamo uno” (Gv 10,30)... e dall'altro si presentasse come l'Inviato che fa sempre la volontà del Padre (Cfr. Gv 14,31, Gv 4,34ss, Gv 5,30, Gv 6,38, Gv 8,28, Gv 12,27ss) e osserva i suoi comandamenti (Gv 10,18, Gv 12,49-50, Gv 15,10)... in una missione che implica pertanto una sua dipendenza dallo stesso Padre (Gv 13,16).
Al di là di ciò, il primato del Padre, che “è più grande”, emerge con chiarezza in questo Quarto Vangelo... tenendo conto come il ministero di Gesù sia costantemente teso a far conoscere il Padre (Gv 1,18) e a glorificarLo.
Focalizzando poi l'attenzione sul versetto in cui ci troviamo, esso va compreso tenendo conto che la prospettiva fondamentale di questo discorso è proprio l'incontro dei discepoli con Dio che, in questo senso, “è più grande di me”, dice Gesù.

Segue: Gv 14,29